In una proiezione immersiva, inaugurata l’8 settembre a Palazzo d’Avalos, va in scena il racconto identitario dell’isola, incentrato sulla cultura della marineria.

L’iniziativa fa parte dell’Ecosistema Culturale della Regione Campania

Il mare isola o collega le culture?

Procida, capitale della cultura 2022, è un’“isola che non si isola”, che da sempre ha vissuto il mare come ponte, approdo, incontro.

Ciò è stato possibile grazie al tratto identitario dominante dei procidani: la cultura marinara. Procida ebbe un’epoca d’oro con i cantieri di flotte a vela, ma ancora oggi esprime giovani esperti marittimi formati nell’istituto nautico, tra i cui padri e antenati figurano spesso capitani di lungo corso, ammiragli, armatori.

La profonda cultura della navigazione si radica nella storia naturale, arcaica e moderna di Procida, oggi esposta nel Museo Civico.

Il nostro viaggio nel tempo ha origine nella genesi vulcanica dell’isola, formatasi con l’eruzione di tre vulcani.

L’origine vulcanica di Procida

Tra questi, uno in particolare attira la nostra attenzione osservando Procida dallo spazio.
Presso l’isola di Vivara riconosciamo un cratere circolare, quasi un atollo, protetto dal mare aperto e invece accessibile dal golfo di Napoli. Uno straordinario approdo naturale, che in realtà la geologia ha trasformato nei millenni. In era preistorica era occupato per metà da una grande spiaggia, oggi sommersa.

Approdo miceneo a Vivara, XVI secolo A.C.

A Vivara si nascondono i resti dei primi insediamenti, riscoperti grazie a decenni di ricerche archeologiche. Fin dall’inizio, gli scavi documentano gli scambi marittimi e culturali tra i procidani e il mondo esterno. Qui nel secondo millennio Avanti Cristo approdavano le navi micenee – quasi delle astronavi aliene per gli indigeni italici – che apportavano le più avanzate tecnologie dell’epoca: fini ceramiche egee, manufatti in metallo, calafataggio con ossidiana fusa, approdi scavati nella pietra, e – meraviglia delle meraviglie – i primi segni di una scrittura, forse la “lineare A”, istoriati su due tavolette.

Con la scrittura passiamo dalla preistoria alla storia. E sono proprio le prime storie dell’occidente, i racconti Omerici della guerra di Troia e dei ritorni degli eroi, a creare i successivi collegamenti simbolici a Procida, sempre via mare. Tra le tante isole del mediterraneo occidentale che si contendono l’onore di avere ospitato la visita di Odisseo, quante possono vantare tracce così ricche di un coevo approdo miceneo?

Nei secoli successivi, Virgilio canta del troiano Enea che solca il mare di Procida per raggiungere Cuma e scendere nell’Averno ai Campi Flegrei. Alla vicina Cuma pare legata l’origine del nome Prochyta: secondo una ipotesi deriva da Prima Cyme, ovvero “prossima a Cuma”.

La nostra ricerca del codice genetico nautico di Procida incontra una nuova evidenza storica: nel tratto di costa più vicino all’isola, a pochi minuti di navigazione, i romani insediano a Capo Miseno la prima tra le flotte che controllavano il “Mare Nostrum”. Poco oltre, a Baia, gli imperatori romani ville lussuose e stabilimenti termali.

La flotta romana di Capo Miseno, nel mare di Procida

Anche se le citazioni storiche di Procida latitano nell’alto medio evo, sappiamo che la presenza dei Bizantini garantì per secoli la continuità delle rotte marittime, mentre al contrario i Longobardi tagliavano ciò che restava delle vie romane di terra.

La vita a Procida è fin dall’antichità favorita dal dolce clima, che la rende celebre come un “giardino nel mare”. Al punto che viene scelta nel Rinascimento dalla nobile famiglia d’Avalos come sfarzosa residenza, in quella che oggi è la più grande ed elevata struttura dell’isola, nei pressi dell’abitato della Terra Casata. Ma il mare sa essere ambivalente: risorsa e minaccia. Dalle sponde meridionali del Mediterraneo si succedono le incursioni dei saraceni, fino a Barbarossa e Dragut.

Incursione saracene a Procida

Così la Terra Casata deve diventare Terra Murata.

La fortificazione di Terra Murata

In seguito i Borboni trasformano il Palazzo d’Avalos in una reggia, dedicata all’ozio e alla caccia.

Il palazzo cambierà ancora destinazione d’uso, diventando scuola militare e infine carcere, “centro di orrore in un cerchio di bellezza”, come lo definirà un patriota detenuto. Un triste racconto di carcere e confino che ha però ispirato il cinema – da Troisi a Sordi – e che oggi offre attraverso la sua visita una “giornata della memoria” dei carcerati.

Procida riattiva e consolida nell’era moderna il proprio codice genetico culturale marinaro.

Dal Seicento – quando ancora non esisteva un porto – al Settecento la flotta procidana passa da 45 a 200 feluche. Una Giunta della navigazione esamina i capitani e rilascia un attestato, valuta i vascelli, ne stima il carico. La solidale gente di mare inventa la mutua assistenza, con il Pio Monte dei Marinai di Procida, una anticipazione dei moderni strumenti di welfare.

Il procidano Michele de Jorio nel XVIII secolo scrive il primo codice della navigazione, mentre il sacerdote Marcello Eusebio Scotti elabora un illuminato “catechismo nautico” che attribuisce un ruolo importante alle donne dei marinai e alla loro educazione.

Codici e istituzioni della marineria procidana

Dalla rete degli armatori, tra cui figurano anche quattro donne, nascono i bastimenti e brigantini che affrontano la navigazione oceanica, e arriva all’inizio dell’800 un sostegno alla scuola nautica, che nasce nel 1833 ed è destinata ancora oggi a trasmettere il codice genetico marinaro di Procida. Cosa ci aspetta nel futuro? L’anno della cultura è una occasione di rigenerazione sociale e materiale, in grado di aprire nuove opportunità, aggiungendo alla identità marinara di Procida quella di destinazione turistica e polo culturale e scientifico. Oltre al mare naturale si profilano nuovi orizzonti, aperti dal saper emergere e navigare nella rete e nei metaversi digitali.